Le decisioni inerenti la gestione di un condominio sono assunte dall’assemblea condominiale, che quindi ne affida la realizzazione all’amministratore incaricato a curare tutti i vari aspetti di tale gestione, come meglio previsto dalla specifica riforma inserita nel codice civile qualche anno fa e ricompresa negli articoli 1117- 1139 cod. civ.

A seconda dei casi, le decisioni dell’assemblea devono essere assunte a maggioranza semplice o a maggioranza qualificata. Ciò non vale però per le decisioni relative alle parti comuni, per le quali è necessaria di regola l’unanimità dal momento che incidono direttamente sul diritto di proprietà di ogni condomino.

Gli strumenti per la definizione delle controversie condominiali

Rispetto alle delibere condominiali si possono presentare controversie riguardo le decisioni assunte dall’assemblea.

Come per ogni controversia è possibile sia la soluzione per via stragiudiziale che quella per via giudiziale:

  • Stragiudiziale – arbitrato: è un procedimento che prevede l’affidamento della risoluzione della controversia ad un arbitro o ad un collegio arbitrale. L’arbitrato è una scelta volontaria delle parti, che possono decidere di ricorrervi in qualsiasi momento e le cui decisioni saranno vincolanti in ogni aspetto.
  • Giudiziale – ricorso al giudice: è la procedura prevista di norma per risolvere una controversia condominiale. Il giudice può decidere la questione in base alla legge o al regolamento condominiale ma, dovendo rispettare la sovranità che spetta all’assemblea, può annullare le decisioni assunte soltanto se presentano irregolarità formali nella delibera.

Queste due possibilità presentano però dei limiti di tipo diverso, l’arbitrato infatti risulta complesso nella preparazione, laborioso nello svolgimento e soprattutto costoso, così di fatto non risulta quasi mai praticato;  il ricorso al giudice invece deve limitarsi ai soli vizi di forma, non potendo entrare nel merito delle decisioni dell’assemblea e può risultare quindi riduttivo.

A ciò si è cercato di ovviare introducendo il nuovo istituto della mediazione: procedimento che prevede l’intervento di un terzo imparziale, il mediatore, che aiuta le parti, presenti personalmente con l’assistenza dei rispettivi avvocati, a trovare un accordo.

La mediazione è ora obbligatoria, in materia condominiale, prima di procedere con il ricorso al giudice, per consentire una più ampia verifica delle decisioni dell’assemblea; tuttavia, se non si raggiunge l’accordo, rimane aperta la possibilità del ricorso al giudice, che però è più restrittivo, rimanendo limitato ai soli aspetti formali della decisione.

La mediazione può riferirsi a varie questioni di diritto civile ma, nel caso del condominio, ha la particolarità per la quale la partecipazione alla mediazione spetta all’amministratore a cui però non competono le decisioni. Infatti, l’ipotesi di accordo, trattata dall’amministratore con la controparte, deve essere poi approvata dall’assemblea con maggioranza qualificata per diventare definitiva.

La necessità dell’unanimità per la cessione o l’acquisto di parti comuni

Nei casi di cessione o acquisto di parti comuni viene ad alterarsi l’equilibrio tra i condomini, dal momento che ciò può incidere sulle quote millesimali o sull’utilizzo delle parti comuni. Per questo motivo le delibere riguardanti le parti comuni, che possono essere assunte anche dalla maggioranza, per perfezionarsi ed essere effettive devono poi essere approvate da tutti i condomini.

La regola dell’unanimità ai fini del perfezionamento della decisione vale anche per l’ipotesi di accordo raggiunto dall’amministratore in sede di mediazione. È anche possibile che l’ipotesi di accordo venga approvata dalla maggioranza qualificata dell’assemblea, in questo caso l’accordo sarà considerato raggiunto ma non potrà avere effetto fintanto che non sarà confermato da tutti i condomini.

Il principio dell’unanimità per il perfezionamento di questioni inerenti alle parti comuni non vale però in alcuni casi:

• decisioni che non alterano l’uso o la destinazione delle parti comuni;

• modifiche necessarie per l’uso o la conservazione delle parti comuni;

• modifica della destinazione d’uso delle parti comuni approvata da una delibera assembleare con la maggioranza qualificata dei 4/5.

Considerazioni conclusive

La mediazione in materia ha così aperto una strada per risolvere le controversie condominiali, permettendo un riesame delle questioni anche nel merito senza intaccare la sovranità dell’assemblea, scindendo il momento della trattativa, lasciata all’amministratore, e quello della delibera, che rimane di spettanza dell’assemblea.

Inoltre, la rappresentanza del condominio in sede di mediazione affidata all’amministratore, facilita il momento della trattativa che, altrimenti, dovrebbe essere effettuata con la partecipazione di tutti i condomini e questo renderebbe il processo lungo e difficoltoso.

La mediazione per le controversie condominiali presenta quindi un duplice vantaggio: da un lato snellisce il momento della trattativa e di formazione dell’ipotesi di accordo, dall’altro, lasciando comunque l’approvazione finale all’assemblea dei condomini ne rispetta la sovranità.

Nella particolare ipotesi di cessione o acquisto di parti comuni può esserci la necessità di aggiungere un ulteriore passaggio in quanto, dopo che l’amministratore avrà raggiunto l’ipotesi di accordo questo dovrà essere approvato all’unanimità dall’assemblea, che però non è facile da raggiungere. È quindi possibile effettuare una prima votazione in cui è sufficiente la maggioranza qualificata per approvare l’accordo, che però dovrà poi essere confermato all’unanimità in un secondo momento per raggiungere la completa efficacia.

Modalità e iter certamente non semplici, che comunque permettono di affrontare e risolvere situazioni anche molto complesse.

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